ARTICOLO DI NORINA IEZZI

Analogico, elettronico e digitale sono tre momenti di una storia che si protrae fino ai nostri giorni e che si lega inesorabilmente alle forme artistiche audiovisive come la videoarte e il cinema. Stiamo vivendo un forte momento di espansione e contaminazione dei linguaggi che conduce, come vedremo, a teorie e riflessioni molto discordanti circa la condizione attuale della videoarte. Si può ancora parlare di videoarte? Qual è il suo rapporto con cinema? Nonostante il digitale abbia fatto il suo ingresso negli anni Novanta, è solo nel Duemila che si afferma come il principale dispositivo da utilizzare in qualsiasi ambito della società. Si pensi poi al significato che ha avuto e alle conseguenze a cui ha portato in quegli anni la diffusione di internet. Il web ha creato un vero e proprio spazio adatto sia alle diverse sperimentazioni che a inedite possibilità di divulgazione e fruizione dei lavori. Sono anni che si potrebbero definire, come ipotizza Bruno Di Marino, di «sperimentalismo di massa […] in cui l’interferenza dello/nello sguardo non è più un’eccezione ma la regola (1)». Il processo di democratizzazione legato agli sviluppi tecnologici mostra i suoi maggiori frutti in questa fase: se è consono affermare che si può fruire, grazie a internet, di tutto ciò che è presente in rete in qualsiasi momento si voglia, è altrettanto vero che le strumentazioni con le quali poter realizzare lavori, professionali e non, sono ora realmente accessibili ad una vasta cerchia di consumatori. Nuovi generi artistici prendono forma e quelli esistenti cambiano a favore di una totale intertestualità e contaminazione. Le continue interferenze tra i campi diversi del sapere e i molteplici cambiamenti tecnici hanno costretto, dunque, anche la videoarte, il cinema e le arti visive in generale a un totale ripensamento; hanno accompagnato le sperimentazioni artistiche in una nuova dimensione creativa, fatta di dialogo e ibridazione di linguaggi anche molto distanti tra loro (2). Grosso modo dal 2010 in avanti, il video ha assunto nuove e differenti modalità di esistenza mettendo sempre più in luce la sua composita essenza (terra d’origine delle contaminazioni) e, di conseguenza, la difficoltà nel delinearne perfettamente i confini di attuazione, l’«irriducibile [impossibilità di] una visione unificante (3)». In totale sintonia con il suo presente, esso è riuscito ad adattarsi alle istanze proprie del tempo e a reinventarsi nuovamente così da poter dialogare con le innovazioni, teoriche e pratiche, legate alla società del nuovo millennio; anche se ciò a volte ha portato, e porta, il video ad allontanarsi «sempre più dalle lingue madri del cinema sperimentale e della video arte (4)». Tuttavia sono tante le forme artistiche che sfuggono oggi alle tradizionali definizioni; si è di fronte ad un impasse dovuta al tentativo, perenne e costantemente illusorio, di «incasellare l’incasellabile (5)». D’altronde anche la formazione stessa degli artisti, che già in passato si era mostrata eterogenea – ad esempio Pipilotti Rist, ancora oggi considerata una delle più influenti videoartiste, proviene dal campo della grafica e della comunicazione audiovisiva (6) – si presenta sempre più in maniera multiforme.

Salvatore Insana, ECATE, OGGI, 9’30”, 2020

Tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del Duemila, anche in ambito cinematografico registi e filmmaker hanno guardato e praticato sempre più un cinema ibridato con altre forme di visione (7). Il video, con i numerosi e rivoluzionari cambiamenti che ha apportato innanzitutto nel mondo dell’arte, ha sconvolto e stimolato anche il cinema a riflettere sulla sua identità, sul suo ruolo e sulle sue peculiarità; successivamente è giunto in suo soccorso aiutandolo a trovare le forme e le modalità più consone al presente. È evidente dunque che il cinema non ha più il primato nel campo delle immagini in movimento: ha perso la sua centralità (8), per quanto continui a volte, come vedremo, a prevalere sul video. Tale predominanza è dovuta, molto probabilmente, al fatto che quest’ultimo con l’avvento del digitale, è entrato a far parte del mondo cinematografico; non è però anche vero il contrario? Il cinema oggi è infatti quasi esclusivamente in digitale, per quanto alcuni continuino ad utilizzare la pellicola. Allo stesso tempo però il forte legame cinema-video era presente ancor prima dell’avvento delle nuove tecnologie: si pensi ad esempio al found footage, dalle sue prime apparizione fino a quelle in digitale. Secondo Milo Adami, mentre il cinema rafforza e consolida la sua presenza in ambito artistico, il video si frammenta ulteriormente: «sembra piuttosto disperdersi [nei] formati (video proiezioni, video installazioni, video pubblicitari, video d’artista, video animazioni), schiacciato dalle nuove tecnologie emergenti (realtà virtuale, web e digitale) (9)». Eppure è proprio grazie a quest’ultime che il video acquista la sua autonomia e impone con più forza la sua presenza: non sembra scomparire, bensì cambiare costantemente forma. Lo stesso vale per il cinema, non è morto «ma la sua vitalità è altrove (10)». Non bisogna smentire la sua importanza o presenza nelle sale cinematografiche, quanto accettare che queste, ormai, sono solo una delle sue possibili forme di fruizione; anche il cinema si è espanso. Questo però non significa che il video e la videoarte siano stati interamente inglobati nella definizione di cinema e che abbiano perso il loro statuto a favore della sola espressione cinematografica, seppure siano in molti oggi a dichiararne l’effettiva scomparsa affermando che il cinema ha accolto in sé ogni forma di immagine in movimento. Ibridare significa incrociare forme e specie diverse tra loro; l’ibrido ha insite in sé alcune componenti proprie degli elementi di partenza, ma allo stesso tempo ne genera inevitabilmente delle nuove, diverse dalle prime. Il video ha per sua stessa natura la predisposizione al mescolamento e alla contaminazione: perché oscurare e rinnegare allora una delle forme artistiche che più ha aiutato il cinema a rinnovarsi e a valicare le porte della sala cinematografica? Come si è giunti alla negazione e al dissolvimento della videoarte? Perchè considerare solo un determinato genere ed escluderne un altro?

Sara Bonaventura, Diapason, NYC Times Square version, 1′ 53”, color, 2020 – courtesy ZAZ10TS
Sara Bonaventura,Chronoscope, Hong Kong Version, 1′ 02″, color, 1200 painted frame, 4m x 16m split screen, 2019 – courtesy NIIO

Attualmente vi sono due principali correnti di pensiero, opposte tra loro. Coloro che affermano, per l’appunto, la morte della videoarte e coloro secondo cui invece questa non ha fatto altro che espandersi, cambiare forma e ambito di attuazione. Sono però proprio tali metamorfosi che hanno confuso e cambiato talmente tanto i paradigmi e le visioni esistenti da spingere alcuni a gridare al dissolvimento del video.
Prima di tutto bisogna considerare che, inizialmente, si parlava di immagini in movimento, facendo riferimento esclusivamente al cinema. Tuttavia è da molto tempo che le opere d’arte non sono più legate unicamente alle classiche forme o tipologie artistiche. Vista l’immensa ibridazione che si riscontra attualmente in tutti i settori, culturali e non, è impossibile realmente «ridurre la varietà delle immagini in movimento al solo modello cinematografico, inteso come origine di tutte le altre forme audiovisive (11)». Dunque, nell’era della diffusione asfissiante delle immagini, dei video, dei film su qualsiasi dispositivo, mobile o fisso che sia, dov’è finita la videoarte? 

Alberta Pellacani, Palinsesto Urbano MN||02,  12.30′, HD, ITA , 2016 
Alberta Pellacani, NEVI. METAmorfosi 46, 12’, 4K, ITA, 2018-19

Secondo il critico e regista francese Jean-Paul Fargier il video è un’eredità che ha oggi ancora più forza ed energia vitale (12), ma non tutti gli studiosi del mondo artistico e cinematografico sono appunto dello stesso avviso. Valentina Valentini e Andrea Lissoni, ad esempio, la pensano diversamente. Valentini, nel saggio da lei curato insieme a Cosetta Saba, Medium senza Medium. Amnesia e cannibalizzazione: il video dopo gli anni Novanta, nel 2015, intitola il suo intervento Il post-video (13). Già all’inizio del testo la studiosa afferma che vi è un’ «eclatante scomparsa del termine , sostituito da film “di un altro cinema” (14)». Il video, secondo lei, non riesce a conservarsi e rimanere in vita: è stato inglobato all’interno del più grande e forte apparato cinematografico, nonché in quello delle arti visive e del museo. Per la Valentini quindi non bisogna più neppure tentare di parlare di video, in quanto quest’ultimo «è nato morto perché escludeva l’unicità delle opere e quindi il mercato che pretendeva l’unicità (15)». Ad appoggiare tali affermazioni è anche Andrea Lissoni, il quale dichiara che «Il video è morto. O meglio, non esiste più. Spazzato via, dimenticato. […] La questione è di natura e di identità. […] Il video si è ritrovato senza uno statuto davvero fondato. Per questo è stato schiacciato da un lato dalle discipline del cinema […] e dall’altro da quelle artistico-visive, sedotte dall’immagine, dal suo appeal, dai significati immediati e timorose di spingersi in un territorio troppo indisciplinato e spalancato sugli orizzonti dell’immaginario (16)». Eppure il video, proprio per il suo carattere eterogeneo e multiforme, è naturalmente sottoposto alla dispersione e, di conseguenza, all’onnipresenza. «[…] Come forma d’arte che usa dispositivi audiovisivi integrati da software e aperta alle infinite ibridazioni linguistiche offerte dalle arti […], non è certo la disciplina o l’identità che manca alla videoarte, ne ha molteplici e cangianti a ogni possibile ibridazione generando ciò che chiameremo area della videodiversità: un territorio di tutti anziché di nessuno (17)». È proprio tale sperimentazione e apertura verso forme diverse, innovative e ibride che conferma l’esistenza, viva e salda, della videoarte.

Marcantonio Lunardi, The perfect pandemic criminal, 03’12”, 2020

La relazione tra video e cinema è caratterizzata da un andirivieni costante di amore e odio, di assimilazione e negazione, incontro e scontro (18). Ognuno è ed è stato, a momenti alterni, un modello per l’altro, un modo per andare oltre se stessi e darsi secondo nuove forme e contenuti. Allo stesso tempo però nessuno è riuscito a inglobare completamente l’altro. Come afferma, giustamente, Sandra Lischi nel saggio Expanded Video (19): «Il cinema, che alle soglie degli anni Settanta secondo Youngblood si espandeva nel video e nelle altre pratiche allora nuove, sembra ora restringersi negli schermi piccoli del computer e dei tablet e in quelli piccolissimi dei telefonini proprio nell’atto di estendersi alla rete; ma, allo stesso tempo, sembra accogliere e raccogliere aperture sonore, narrative (e non narrative), astrazione sinestetiche, temporalità e sospensioni ed effetti che ne fanno implodere o esplodere […] le consuete strutture  […]. La videoarte ha in questo una parte non indifferente: non solo e non tanto come citazione esplicita, prelievo, furto; non tanto perché sono stati i videoartisti a inventare molti effetti poi usati da Hollywood; ma come nucleo di un racconto tardivo delle sue intenzioni e indicazioni. […] In un certo senso, possiamo parlare oggi di un “video espanso”: espanso nel cinema […], nei musei e nelle mostre (come materia espositiva ma anche come modalità di allestimento e relazione con il visitatore […]), nelle spettacolari e collettive proiezioni dei videomapping urbani: è ibridato con l’animazione, con la pittura, fino a lambire con la sua onda alcune forme videomusicali, e annidandosi perfino nelle nicchie figurativamente elaborate di alcuni videogame. Quello della videoarte […] è inoltre divenuto un serbatoio iconografico di riferimento […]; la videoarte è entrata a far parte del lessico culturale corrente – anche se non sempre a proposito – e di importanti festival di cinema, oppure è, ancora, al centro di alcune manifestazioni che esplicitamente vi si richiamano, con immutata attenzione (20)».

L’attualità del video e della videoarte non poteva essere espressa in maniera più chiara e limpida. Se dunque il cinema cambia è altrettanto vero che anche il video si modifica. Come il cinema non può essere ricondotto esclusivamente alla tradizionale sala cinematografica, anche la videoarte non può essere ridotta unicamente alla fase sperimentale degli anni Settanta e Ottanta. Questa è entrata in una nuova stagione sperimentale, che grazie anche al digitale, non è da ritenersi né meno significativa delle precedenti, né tanto meno conclusa; all’estero quanto in Italia. «[…] Il video, eh no, la video arte non è morta. Ancora una volta è invece in anticipo, più viva che mai, onnipresente (21)». Dove va quindi la videoarte? Dov’è oggi il video? Dappertutto (22)!

NOTE

(1) Bruno Di Marino (a cura di), Doppio Schermo. Film e video d’artista in Italia dagli anni ‘60 a oggi, MAXXI Arte Collection Focus Series, Imola, Manfredi Edizioni, 2017, pp. 21-22.

(2) Cfr. Piero Deggiovanni, Per una estetica dell’ibridazione, conferenza, 2015, p.1.

(3) Alfonso Amendola, Videoculture. Storia, teoria ed esperienze artistiche dell’audiovisivo sperimentale, Latina, Tunué, 2012, p. 82.

(4) Piero Deggiovanni, Apocalittico e ibridato. Le avventure del corpo nell’epoca del meta-cinema, nel catalogo Le regole del corpo. Norma e arbitrio, Accademia di Belle Arti, Bologna, 2016, p. 4.

(5) Ivi, p. 9.

(6) Cfr. Valentina Valentini e Cosetta Saba (a cura di), Medium senza Medium. Amnesia e cannibalizzazione: il video dopo gli anni Novanta, Roma, Bulzoni Editore, 2015, p. 27.

(7) Cfr. Adriano Aprà (a cura di), Fuori norma. La via sperimentale del cinema italiano, Padova, Marsilio Editori, 2013, p. 47.

(8) Cfr. V. Valentini e C. Saba (a cura di), op. cit. p. 73.

(9) Ivi, p. 71.

(10) A. Aprà (a cura di), op. cit. p. 13.

(11) V. Valentini e C. Saba (a cura di), op. cit. p. 159.

(12) Cfr. Ivi, p. 157.

(13) Ivi, pp. 17-46.

(14) Ivi, p. 17.

(15) Ivi, p. 21.

(16) Ivi, p. 48.

(17) Piero Deggiovanni, Antologia critica della videoarte italiana 2010-2020, Torino, Edizioni Kaplan, 2019, pp. 16-17. 

(18) Cfr. V. Valentini e C. Saba (a cura di), op. cit. p. 65.

(19) Ivi, pp. 251-265.

(20) Ivi, pp. 261-262.

(21) Ivi, p.171.

(22) Cfr. Ivi, p.160.

BIBLIOGRAFIA

Amendola Alfonso, Videoculture. Storia, teoria ed esperienze artistiche dell’audiovisivo sperimentale, Latina, Tunué, 2012.

Aprà Adriano (a cura di), Fuori norma. La via sperimentale del cinema italiano, Padova, Marsilio Editori, 2013.

Deggiovanni Piero, Antologia critica della videoarte italiana 2010-2020, Torino, Edizioni Kaplan, 2019.

Deggiovanni Piero, Apocalittico e ibridato. Le avventure del corpo nell’epoca del meta-cinema, nel catalogo Le regole del corpo. Norma e arbitrio, Accademia di Belle Arti, Bologna, 2016. 

Deggiovanni Piero, Per una estetica dell’ibridazione, conferenza, 2015., Per una estetica dell’ibridazione, conferenza, 2015.

Di Marino Bruno (a cura di), Doppio Schermo. Film e video d’artista in Italia dagli anni ‘60 a oggi, MAXXI Arte Collection Focus Series, Imola, Manfredi Edizioni, 2017.

Di Marino Bruno, Meneguzzo Marco, La Porta Andrea (a cura di), Lo sguardo espanso. Cinema d’artista italiano 1912-2012, Silvana Editore, Milano, 2012.
Valentina Valentini e Cosetta Saba (a cura di), Medium senza Medium. Amnesia e cannibalizzazione: il video dopo gli anni Novanta, Roma, Bulzoni Editore, 2015.

IN COPERTINA

Marcantonio Lunardi, Anthropometry 154855, 03’30”, 2015

DEHORS/AUDELA, Olmè, 5’2”, 2020