
ARTICOLO E IMMAGINI DI FRANCESCA DONDI.
Gibellina è un paese siciliano in provincia di Trapani, la cui storia e localizzazione si dividono tra una città in macerie chiusa nel cemento bianco e una distesa di monumenti in balia del sole.
Nella storia di Gibellina si intrecciano molteplici questioni, partendo da problematiche dello stato italiano e del territorio siciliano, fino ad arrivare a critiche mosse alle ideologie e alle personalità coinvolte, che non è possibile approfondire nel breve spazio di questo articolo. L’obiettivo del contributo che segue è far conoscere la storia di questo paese e della sua ricostruzione. La ricerca comincia dove cominciò la mia gita, al cretto di Burri, la più estesa opera di Land Art in Italia e motivo che mi portò a Gibellina.
Un argomento che la storia di Gibellina apre e che reputo attuale, è l’utopia di una società in cui la cultura sia una componente essenziale -utile- e non marginale del vissuto, con le rispettive considerazioni su potenzialità e responsabilità del settore culturale all’interno della società stessa.
Prima, arroccato sulla cima di cinque colli contigui, Gibellina, era una delle tante comunità contadine riconducibili e identificabili nell’universo sociale e culturale della realtà urbana dell’isola. La maggior parte delle strade erano strette e piccole, alcune asfaltate, altre pavimentate con ciottoli e lastre di marmo. […] La strada principale, che era una sola, via Umberto, tagliava il paese in due […]. I quartieri erano collegati da una ragnatela di vicoli e cortili che s’intrecciavano in modo asimmetrico. (1)
Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968, un fortissimo terremoto distruggeva l’intera valle del Belice con i suoi paesini. (2)
Lo stato si trovò davanti a una tragedia senza precedenti, la prima grande catastrofe naturale dal secondo dopoguerra […]. Il governo mise a disposizione per ogni sfollato un passaporto d’emergenza e l’acquisto di un biglietto di sola andata: circa 30.000 profughi lasciarono la zona per emigrare nel Nord Italia, in Europa, in America o in Australia. Il Belice rischiava così di svuotarsi definitivamente.(3)
Dagli anni ‘50 era presente sul territorio della Sicilia occidentale il Centro Studi per la piena occupazione di Danilo Dolci e Lorenzo Barbera, così quando i terremotati arrivarono nelle tende lo fecero con spirito propositivo, creando sindacati di tendopoli occupati nella creazione di un piano comune, in cui fossero indicate le azioni prioritarie da compiere per far sì che la ricostruzione fosse occasione di sviluppo democratico.
Quando furono spostati nelle baracche tuttavia vennero esclusi dalle decisioni riguardanti la ricostruzione.
Ludovico Corrao esponente di spicco del partito socialista e divenuto sindaco di Gibellina subito dopo il terremoto, sosteneva l’idea di ricostruire il paese in un nuovo sito, la contrada Salinella, vicino alle terre coltivate dai cittadini gibellinesi, consapevole anche del fatto che in quella zona era in progettazione l’autostrada A29, che avrebbe collegato Palermo con Mazara […] « La ricostruzione – diceva Corrao – poteva riguardare la memoria del futuro e non la memoria del passato ». Andare contro la proposta di fuggire a favore di una ricostruzione che facesse ricucire i fili della storia di un centro di contadini ai grandi centri culturali che nel passato si erano insediati nel territorio, sarebbe stato possibile […] attraverso «l’arte, la cultura, la musica e la poesia [che] potevano tessere le trame della rinascita ». (4)
Il cretto di Burri rientra nel progetto di ricostruzione portato avanti da Ludovico Corrao; i lavori cominciarono nel 1984, si interruppero nel 1989 e si conclusero solo nel 2015, grazie ad un appello del 2010 di Nicolò Stabile, firmato da molti nomi della cultura nazionale e internazionale. Alberto Zanmatti, l’architetto che curò la realizzazione dell’opera, racconta:
Preparammo le planimetrie perimetrando la zona dell’intervento con un rettangolo che copriva quasi tutta la superficie dei ruderi eliminando le sfrangiture perimetrali. Solo allora capimmo la grandezza del progetto, l’opera copriva più di dieci ettari di superficie, da stupire i faraoni ma non Burri, che impaziente, su un plastico del terreno, preparato in quattro e quattr’otto, distese nei limiti del rettangolo ipotizzato la sua superficie di malta bianca per ottenere il cretto. Incise la rete viaria principale lasciando che il cretto (cioè le crepe) si formasse spontaneamente. Si prepararono i disegni esecutivi che prevedevano l’abbattimento dei muri ancora in piedi e pericolanti, compattando poi le macerie e rivestendole con rete metallica, secondo le forme del progetto e il tutto ricoperto di cemento bianco.(5)
Il 31 agosto del 1969, il consiglio comunale di Gibellina, contraddicendo la proposta di conurbazione presentata dall’ISES(6), votò all’unanimità la zona pianeggiante di Salinella su cui doveva sorgere la nuova città -che l’ISES fu costretta ad accettare- inoltre, l’idea di città-territorio di Danilo Dolci poteva rientrare nei piani di valorizzazione della valle del Belice. (7)
L’ISES per l’occasione chiamò a raccolta i più famosi architetti e urbanisti della scena italiana di quegli anni, circa cinquecento nomi del settore, appartenenti a diverse parti e correnti. La progettazione del nuovo insediamento urbano di Gibellina fu portata avanti dall’ingegnere Marcello Fabbri, già dipendente dell’ISES.
Durante la progettazione nacque l’ipotesi di una città a forma di farfalla- con grandi ali unite dal corpo degli edifici pubblici – determinata da ragioni prettamente connesse alla morfologia del territorio, ma che tuttavia si legava simbolicamente al concetto di rinascita e risurrezione richiamando la trasformazione della crisalide in farfalla. La progettazione prevedeva la realizzazione di una « città senza periferie con un avvolgimento dell’insediamento residenziale mediante attrezzature, servizi, ma anche significative immagini architettoniche o visive (i primi accenni di arte urbana) ». I cinquemila abitanti avrebbero dovuto occupare un terreno di circa 35 ettari di superficie, che a confronto dei circa 15 ettari di superficie sul quale il vecchio paese era arroccato, dà la misura della dispersione introdotta dal nuovo piano.(8)
Nel 1970 venne divulgato un appello di solidarietà della cultura italiana, firmato, tra gli altri, da Leonardo Sciascia, Renato Guttuso, Giovanni Treccani, Sergio Zavoli, Cesare Zavattini, Caruso, Corrado Cagli, Corrao e gli altri sindaci della Valle del Belice. Si pensò di porre un argine al progetto di ricostruzione dello stato – percepito come calato dall’alto – invitando i maggiori artisti contemporanei dell’epoca a progettare la chiesa, le piazze, il museo e i monumenti di Gibellina Nuova. All’appello risposero, tra gli altri, Pietro Consagra, Carla Accardi, Francesco Venezia, Laura Thermes, Nanda Vigo, Alberto Burri.(9)
Fu Pietro Consagra, in particolare, a collaborare col sindaco nel progetto di ricostruzione e a fare da ponte tra Corrao e gli artisti.
Della sua personalità e poetica Corrao scrive:
Consagra è una persona dai convincimenti artistici e sociali fortissimi, violento ed umorale, anche nelle polemiche contro l’architettura moderna e altre forme d’arte, ma dolcissimo nel rapporto umano e nella costruzione di un sistema di città che anch’essa riflettesse il principio della trasparenza, della libertà e della luce, negando la tridimensionalità. Quindi bifrontalismo, perchè tutto possa essere compreso da una parte e dall’altra e appreso senza che l’uomo abbia bisogno di girare attorno e dietro all’opera per capirla, per subirla, per aspettarsi una controfaccia diversa. Contro le molteplici facce di mostri e animali di certo barocchismo siciliano, in una terra dove la doppiezza e l’ipocrisia spesso sono regola. Nelle opere di Consagra è invece l’uomo che entra dentro l’opera d’arte, la vive e vi si lascia sognare per raggiungere la felicità. L’arte- disse Consagra- a Gibellina afferma il diritto a sognare e a fantasticare.(10)
Il Meeting, progettato da Consagra nel 1976 come il primo edificio frontale proveniente dalla più ampia idea di città frontale e pensato per accogliere luoghi legati alla socialità, si limita oggi ad ospitare un pub al pian terreno. La stazione degli autobus, progettata al suo interno, non è mai stata attivata, mancando completamente gli autobus urbani a Gibellina.
Anche Franco Purini e Laura Thermes, coppia di architetti in sodalizio dal 1966, hanno lavorarono alla ricostruzione del paese. Per Gibellina progettarono la Casa del farmacista (1980), il sistema delle piazze (1982) e Casa Pirrello (1990). Per facilitare la comprensione del sistema delle piazze, riporto nelle didascalie delle foto la descrizione che ne dà l’ Atlante di Architettura Contemporanea.
L’architettura progettata da Franco Purini e Laura Thermes si configura come una grande struttura urbana distesa sul terreno: un “sistema di piazze” messe in sequenza prospettica, enfatizzate dalla ripetizione di elementi-cardine, di volta in volta differenti. Le piazze prendono nomi evocativi della storia di questa parte d’Italia: Piazza Rivolta del 26 Giugno 1937, Piazza Fasci dei Lavoratori, Piazza Monti di Gibellina, Piazza Autonomia Siciliana, Piazza Portella della Ginestra. Solo le prime tre piazze sono state realizzate in un arco di tempo compreso tra il 1987 e il 1990.
Il portico-mercato, di matrice classica, si estende in profondità lungo due delle tre piazze concatenate, con la sola esclusione della piazza settentrionale, perimetrata su un solo lato da un portico più basso; il passo della campata del portico corrisponde al sistema modulare della pavimentazione, realizzata in granito bicolore per evidenziare la scrittura geometrica di questo luogo dai colori mediterranei. Il disegno planimetrico definisce spazi aperti di forma rettangolare denotati da un’aura metafisica. Al colore è affidato il registro espressivo dell’opera, attraverso i diversi materiali utilizzati: il tufo di Mazara (pietra gialla reperibile in loco), la pietra lavica (nera), il travertino d’Alcamo (pietra bianca) e la pietra rossa. Il sistema ordinato degli spazi è stato pensato dai progettisti come sfondo regolare, capace di mettere in evidenza il “caos creativo” delle opere degli artisti che le piazze avrebbero dovuto accogliere.
I lunghi portici, secondo una dichiarazione di Laura Thermes, oltre a rendere permeabile il fronte verso le case retrostanti, rendono il luogo uno spazio teatrale. I portici presentano un doppio ordine, affinché sia possibile passeggiare anche a una quota sopraelevata; di qui ci si affaccia sullo spazio delle piazze attraverso un matroneo con finestre rettangolari, decorato da ceramiche colorate.
Gli architetti cercarono di coordinare i loro progetti l’uno con l’altro ma da subito si verificarono delle incomprensioni che riguardavano le difformità stilistiche e le differenze caratteriali. L’intero progetto di Gibellina era stato concepito come una successione di fatti architettonici di grande qualità, da leggere come una disseminazione di oggetti estetici. Non sembrano avere un legame fisico e concettuale tra di loro che permetta una lettura univoca e una visione unitaria del sistema urbano. Sembrano più che altro dialogare in forma puramente autocelebrativa con il paesaggio circostante e «galleggiare surrealisticamente nello spazio come oggetti muti e solitari che esibiscono individualmente la configurazione voluta da ciascun autore». (11)
« Anziché valutare i danni della distruzione – scrisse nel 1976 la giornalista Giuliana Saladino- ci troviamo a dover valutare i danni della ricostruzione». (12)
La denuncia riguarda principalmente l’operato dell’ISES, accusato di aver utilizzato modelli estranei alla cultura del luogo – secondo Giuseppe La Monica, il modello urbanistico a cui Fabbri fa riferimento è quello delle città-giardino di Hebenezer Howard, pensato per arginare il problema del sovrappopolamento delle città inglesi del XIX secolo, problema assente nella Sicilia rurale degli anni ‘70-, il non aver tenuto conto delle caratteristiche climatiche e orografiche del sito, non considerando la necessità di creare zone d’ombra per permettere il riposo e spazi in cui la socialità fosse possibile, il cambio di scala dell’edificato, con la conseguente dispersione dei servizi e della densità abitativa, che hanno creato gravi effetti sociali e la sensazione di disorientamento che la città suggerisce in chi si trova a percorrerla.
Gibellina Nuova fu tenuta a battesimo il 3 giugno 1979 con una cerimonia svolta ai ruderi del vecchio paese, dove avvenne la rappresentazione dell’Orestiadi di Eschilo reinterpretate dal poeta siciliano Emilio Isgrò. Le scenografie erano di Arnaldo Pomodoro, gli attori provenivano dal teatro Massimo di Palermo e tutta la popolazione locale fu invitata a partecipare anche come comparse. Da allora ogni anno Gibellina avvia le sue Orestiadi: manifestazioni teatrali, musicali, operistiche, d’arte in tutti i suoi filoni.(13)
Isgrò stesso dichiarò: «il senso di questo lavoro consiste soprattutto nel dar voce a una comunità sepolta dalla sventura e dalla prepotenza della società tecnologizzata. Così ho scelto l’Orestea, tragedia del principio del sangue e dell’ineluttabile, perché mi sembra che contenga, al di là del pessimismo della ragione, una sorta di ottimismo della volontà». (14)
Gibellina divenne negli anni ‘80 una realtà con la quale il mondo intellettuale fu costretto a confrontarsi. Si era instaurata una «fabbrica civica d’arte», un ideale laboratorio intellettuale in cui la popolazione era coinvolta in prima persona, anche e soprattutto come forza lavoro. Gli artisti -che donavano le loro opere al paese- ne realizzavano la costruzione in loco, creando lavoro e manodopera specializzata, che ha portato negli anni alla nascita sul territorio di attività di scenotecnica, tessitura e ricamo e altre legate alla realizzazione di pregiati lavori in ceramica, ferro e marmo. Inoltre, da una ricerca condotta presso l’Università di Palermo sul numero degli studenti iscritti nelle diverse facoltà dell’Ateneo ( a.a. 2007-2008), è risultato che la percentuale degli studenti residenti a Gibellina iscritta in corsi di laurea a indirizzo artistico, letterario e architettonico è maggiore rispetto a quella della provincia di Trapani.
Così, a partire da esigenze pragmatiche di rinascita, l’ambizione utopica creava il proprio discorso, fondando insieme alla nuova Gibellina, un modello di società in cui l’arte è necessaria e fruibile nella quotidianità di tutti. (15)
Questo modello, nonostante fosse sostenuto da una parte della popolazione, ha rappresentato un momento conflittuale del divenire dell’identità comunitaria. Non tutti i gibellinesi riuscirono a identificarsi e inserirsi nella nuova realtà e nella città che da questa veniva plasmata.
Corrao insistette a lungo perché Alberto Burri venisse a visitare Gibellina e contribuisse con una sua opera. Dopo la visita, Burri accettò solo a patto di poter operare sul sito di Gibellina Vecchia. Di Gibellina Nuova disse:
Avevano voluto rappresentare la città ideale, e le ceramiche della Attardi richiamavano un colore rinascimentale, ma c’era qualcosa di discordante come un bellissimo pezzo musicale dove qualcuno stonava. Camminavamo in un immenso museo all’aperto, fuori dal tempo, vivo, ma la città… dov’era la città? (16)
Nel 1994 Ludovico Corrao non fu rieletto sindaco.
Molte delle opere non sono state concluse e per quelle concluse si pone il problema della manutenzione, insostenibile per un comune così piccolo.
Dei 5000 abitanti per cui la città era stata costruita ne rimangono 3873(17), in continuo calo. (18)
Circa il 30% delle abitazioni sono seconde case, il 20% disabitate. (19)
– La città,- insisti a chiedere.
– Noi veniamo qui a lavorare tutte le mattine, – ti rispondono alcuni, e altri: – Noi torniamo qui a dormire.
– Ma la città dove si vive? – chiedi.
– Dev’essere, – dicono, – per lì, – e alcuni levano il braccio obliquamente verso una concrezione di poliedri opachi, all’orizzonte, mentre altri indicano alle tue spalle lo spettro d’altre cuspidi.
– Allora l’ho oltrepassata senza accorgermene?- No, prova ad andare ancora avanti.(20)
Quando arrivai a Gibellina Nuova la città era deserta e disorientante come viene descritta, impossibile capire in che punto della città fossi arrivata, se al centro o alla periferia di essa.
Per studiare e illustrare la successioni degli eventi che hanno coinvolto il paese e caratterizzato la sua formazione, mi sono servita della tesi di Flavia Ditta, La rifondazione di Gibellina per mezzo dell’arte contemporanea. Storia della ricostruzione tra utopia del progetto artistico e realtà, consultabile per esteso qui, (link sul qui https://etd.adm.unipi.it/t/etd-04272015-214931/ ), all’interno della quale l’autrice cita L’anno 2440, romanzo in cui l’autore ambienta la società utopica che racconta nel futuro, istituendo per la prima volta un esplicito rapporto tra l’utopia e il futuro come tempo della sua realizzazione attraverso il progresso e l’azione umana. Alla fine di questa ricerca ho provato a capire quale sia la situazione odierna. Riporto di seguito alcuni link di progetti recenti sul territorio:
AM3 Architetti associati / Coltivare il futuro
Note:
1 Flavia, Ditta, La rifondazione di Gibellina per mezzo dell’arte contemporanea. Storia della ricostruzione tra utopia del progetto artistico e realtà, 2015, pag. 12
2 ibidem
3 https://www.ilpost.it/2021/03/29/la-storia-di-gibellina/
4 ivi, p 19
5 ivi, p.84
6 Oltre alla proposta di Ludovico Corrao furono presentati due progetti per la ricostruzione: uno da parte dell’ISES, proposta statale e di tipo industriale, uno da parte di Danilo Dolci, proposta innovativa di progettazione dal basso. NdR
7 ivi, p. 22
8 ivi, p.23
9 https://www.ilpost.it/2021/03/29/la-storia-di-gibellina/
10 https://www.artribune.com/television/2021/01/video-pietro-consagra-gibellina/
11 ivi, p.34
12 ivi, p. 107
13 ivi, p. 40
14 ivi, p.101
15 ivi, p.74
https://it.wikipedia.org/wiki/Gibellina
17 https://ugeo.urbistat.com/AdminStat/it/it/demografia/dati-sintesi/gibellina/81010/4
18 https://www.centoventigrammi.it/gibellinanuova/
19 https://www.centoventigrammi.it/gibellinanuova/
20 Italo Calvino, Le città invisibili, Einaudi, Torino 1972, p. 77