Fuoco. Un luogo temporale e condiviso.
Partiamo dall’elemento: secondo la definizione più comune, il fuoco è un processo di combustione che si presenta sotto forma di luce e calore e che riduce in cenere e fumo quello che tocca.
Ha un immediato e irreversibile effetto distruttivo, ma il fuoco non ha alcun fine in sé, anche se può auto generarsi perché produce calore e il calore genera a sua volta un fuoco, che vive per consumare e consumarsi insieme al materiale che gli dà la vita(1)
Ho sempre fatto una certa fatica a pensare che il nero della cenere fosse l’unico lascito di un elemento così spettacolare. La cenere, per natura, richiama qualche cosa che fu, là, in fondo, lontanissima nel passato, memoria perduta per tutto ciò che non appartiene più al qui(2).
Entra quindi in relazione con noi, ma non sul piano del qui e ora, in quanto crea un collegamento con un là che l’ha generata. La cenere non è più qui e forse non ci è mai stata. Il là di cui parla Derrida sembra rimandarci a un luogo preciso, quello del fuoco, perché non può esistere cenere senza fuoco, essa resta in sua memoria: nulla avrà avuto luogo se non il luogo. Vi è là cenere: vi è luogo(3).
Ma dov’è e come si fa per trovarlo se non è qui ma è là? Mi faccio aiutare da un ricordo, il mio primo ricordo che ho di un fuoco. In montagna, nella valle d’Ampezzo, la notte del quattordici agosto si riempie di fiamme: sulle montagne, davanti alle case, sui prati e gli appezzamenti di terra ogni famiglia accende un falò, sono i fuochi per la Madonna dell’Assunta. Per almeno due mesi, precedenti la notte di ferragosto, le famiglie preparano il falò, accatastano legname e materiale bruciabile, come accade tradizionalmente nelle feste del fuoco, dove la risoluzione al problema dello smaltimento del legname vecchio, come di mobilia ormai inutilizzabile, sembra proprio essere nelle fiamme. Tutti contribuiscono alla creazione del falò fino alla notte di ferragosto, quando il fuoco viene acceso e bruciando crea un ambiente, un luogo condiviso. In questo caso è il luogo della festa ma, come accade da sempre, dal punto di vista socio-culturale è il regime del fuoco a rafforzare i legami interni al gruppo e a rendere i rapporti umani più forti e più coesi. Il fuoco, luce e calore, dà protezione contro il freddo e l’oscurità, crea e offre l’ambiente intorno al quale ci si può riunire, il luogo dove il gruppo può intraprendere attività comunitarie durante la notte, e diventa così il centro della vita della comunità agevolando la comunicazione e la solidarietà tra i membri. Il fuoco diventa il luogo della discussione e segna il punto di ritrovo.
Questo fuoco è il fuoco controllato, non il fuoco che troviamo in natura ma quello che abbiamo imparato a creare e a gestire trasportandolo dagli incendi naturali a dei luoghi sicuri.
Un fuoco che è stato inglobato nelle nostre società e che ha permesso all’uomo di vivere in organizzazioni sociali sempre più complesse: è il fuoco che ha incrementato la civilizzazione, non è il fuoco selvaggio e della distruzione, ma è il fuoco sociale(4).
Ecco dunque il luogo che stavamo cercando, un ambiente momentaneo, attraversabile in un arco temporale incerto, perché dura quanto la vita del fuoco. È uno spazio condiviso che si crea da un processo naturale distruttivo, ma cosa succede quando il fuoco si spegne e compare la cenere? Il fuoco muore. Siamo di nuovo qui e vorremmo tornare là, ad alimentare quel fuoco sociale, consapevoli del fatto che siamo noi a doverlo mantenere vivo continuando ad innescare la combustione.
- Johan Goudsblom, Fuoco e civiltà. Dalla preistoria a oggi, Roma, Donzelli, 1996, p.VII.
- Jacques Derrida, Ciò che resta del fuoco, Milano, SE, 2000, p.13.
- Derrida, p. 21.
- Cfr. Gaston Bachelard, La psicanalisi del fuoco, Bari, Dedalo, 1987, pp. 134-135.