
ARTICOLO E IMMAGINI DI GINEVRA ROMAGNOLI.
Immagine: una parola che racchiude in sé infiniti significati, tanto da rendere difficile fornire un’unica definizione che possa fare testo. Partiamo da quella data dal vocabolario: “l’immagine è una rappresentazione visiva, non solida, della realtà; in particolare un’immagine può rappresentare la realtà fisica (in modo più o meno realistico) oppure una realtà fittizia o astratta.” Quindi in primis l’immagine è sinonimo di rappresentazione. E cos’è una rappresentazione? Rappresentare significa rendere presente un oggetto assente. In effetti l’immagine ha sempre avuto a che fare con la morte, perché i suoi diversi appellativi, sia l’imago latina che l’eidon greco, sono state effigi funerarie, come lo sono spesso le nostre fotografie di famiglia. L’immagine è la rappresentazione di un momento, di un particolare che non si ripresenterà più. Essa è portatrice di un codice la cui chiave ci è raramente data: è un pezzo di vita strappata al reale, è contemporaneamente accesso a una realtà assente che essa evoca simbolicamente: “l’uomo non potrebbe avere accesso al mondo delle idee se non tramite le ombre proiettate nella caverna che è il mondo di cui siamo prigionieri.” (1)
Prima dell’avvento della fotografia, l’immagine è rimasta in primo luogo un oggetto legato al culto e per pochi. L’invenzione della fotografia (2) provocò alla sua epoca un entusiasmo smisurato: improvvisamente la realtà si imponeva come riferimento diretto dell’immagine. Oggi, nella cosiddetta “civiltà delle immagini” questo entusiasmo è andato calando proprio perché ci ritroviamo ad essere educati alle fotografie. Dal 1839 in poi si è fotografato tutto: abbiamo una “antologia” di immagini, esse ci insegnano un nuovo codice visivo, siamo noi con la fotografia a dire cosa vale la pena guardare e cosa no. “La foto” scrisse Roland Barthes “aderisce alla realtà”. (3) Oppure è la realtà che aderisce alla foto? Nel corso della breve vita della fotografia sono stati molti i dibattiti riguardanti la valenza di questo potente e strano strumento.
OGGETTIVITÀ O SOGGETTIVITÀ?
In principio c’era una tendenza a catturare immagini come una nuova forma di notazione, impersonale. Un esempio eclatante è il libro The Pencil of Nature (1844-1846 ) di Fox Talbot, il primo libro illustrato da fotografie che sia mai stato pubblicato. Ben presto però le persone si accorsero che nessuno fotografava nello stesso modo una cosa, e l’ipotesi della impersonalità dovette cedere. Anche se è vero che la foto non può che riprodurre la realtà (vedi le cosiddette foto astratte che non sono altro che immagini di un mondo reale reso irriconoscibile), in effetti le fotografie non attestano solo quello che c’è ma anche quello che il fotografo ci vede. La foto non aderisce alla realtà, è la realtà che aderisce alla fotografia: dietro ogni obiettivo vi è sempre una scelta e una aspettativa. Per citare Luigi Ghirri “la fotografia è testimonianza di quello che ho vissuto ma anche reinvenzione di quello che ho visto.”(4) Anche quando le foto si preoccupano di rappresentare la realtà, c’è traccia del gusto e della coscienza del fotografo: già il semplice fatto che fotografare implica fare una scelta su cosa inquadrare e cosa lasciare fuori, come in una cornice di un quadro.
FOTOGRAFIA PERVERSA
Diane Arbus dichiarò di essersi sentita perversa la prima volta che ha scattato una foto. Ovviamente la macchina fotografica non stupra ma può di certo intromettersi, distorcere e assassinare. L’atto di fotografare ha qualcosa di predatorio, tanto che la macchina fotografica viene spesso scambiata per un’arma. Fotografare una persona equivale a violarla, vedendola come essa non può vedersi. Equivale a trasformarla in un’immagine, in un oggetto. “Con il tempo la gente imparerà a sfogare la propria violenza con la macchina fotografica, e il prezzo sarà un mondo pieno di immagini.” (5) Susan Sotang preannunciava quello che oggi sembra accadere quotidianamente. La fotografia è un’arte nostalgica e rispecchia la nostra epoca nostalgica. È un memento mori, un congegno per registrare ciò che sta scomparendo. Pseudopresenza e assenza, le fotografie ci fanno fantasticare e ci danno il senso di raggiungere qualcosa di irraggiungibile (star, posti esotici, oggetti…). Sono tentativi di entrare in contatto con un’altra realtà e di avanzare pretese su di essa. Avere un’esperienza si identifica col farne una fotografia, per riprendere una frase di Mallarmè, “oggi tutto esiste non per finire in un libro ma per finire in una fotografia.” (6) Le immagini fotografiche anestetizzano, essendo ripetutamente esposti ad esse ci diventano paradossalmente meno reali. L’atrocità diventa quasi normalità: siamo così bombardati da immagini di guerra e violenza da non impressionarci più.
REINVENTARE LA BELLEZZA
Ai suoi albori una fotografia era bella se ritraeva qualcosa di bello, quali fiori, paesaggi e ritratti. Oggi è evidente che certe meraviglie della natura sono state praticamente abbandonate, ad esempio i tramonti: assomigliano troppo a fotografie.Le fotografie creano il bello e dopo alcune generazioni di fotografi lo consumano. Il successo della macchina fotografica nell’abbellire il mondo ha fatto sì che ora sono le fotografie e non il mondo il modello di bellezza. Dagli anni venti del ‘900 in poi si iniziarono ad esplorare fotograficamente soggetti più insignificanti, e ciò imponeva a tutti una parziale revisione di ciò che è bello e brutto. L’atto di fotografare non può che attribuire importanza, tutto può essere reso bello se messo in una fotografia. Oggi è comune a gran parte dell’arte moderna tendere ad abbassare la soglia del terribile. Le immagini diminuiscono la nostra capacità di reagire all’orrore nella realtà: i “mostri”(7) di Diane Arbus che all’epoca avevano tanto impressionato oggi hanno una loro legittimità, possiamo tranquillamente vederli in copertina di giornali. Da quando sono nate le macchine fotografiche esiste una nuova forma di eroismo, l’eroismo della visione: il momento adatto per fotografare è quello in cui si possono vedere le cose in maniera nuova. Entrarono in vigore nuove convenzioni del bello: bello diventa ciò che l’occhio non può vedere, quello che solo la macchina fotografica può dare. L’imperfezione tecnica viene oggi apprezzata proprio perché spezza la pacata equazione tra natura e bellezza. È in corso una evidente lotta contro il bello, ma nonostante ciò la fotografia continua ad abbellire.
CONSUMARE LA REALTÀ
Siamo sempre più dipendenti dalle immagini. Abbiamo la testa piena di relazioni, 500 anni fa una persona vedeva nella vita forse 500 immagini, oggi ne vediamo nell’arco di una giornata. E in più immagini di ogni tipo. La nostra è una visione accelerata. Ci sembra di aver già visto tutto, come un dejavù che circola in tutti i linguaggi artistici. La fotografia è prolungamento dell’oggetto rappresentato, è un potente mezzo per acquisirlo. Una volta fotografato quell’oggetto diviene parte integrante di un sistema di informazione. Mentre nei paesi non industrializzati si ha il timore di essere fotografati perché ci si sente violati, nei paesi industrializzati è il contrario: l’individuo cerca di farsi fotografare, sentendo di essere immagine e di poter diventare reale grazie alla fotografia. Una società capitalistica esige una cultura basata sulle immagini, per stimolare gli acquisti e per acquisire una quantità illimitata di informazioni. Strumento di spettacolo (per le masse) e di sorveglianza (per i governanti). Il bisogno di fotografare tutto è nella logica stessa dei consumi: consumare significa bruciare, esaurire. Mano a mano che facciamo e consumiamo immagini abbiamo bisogno di altre immagini e di altre ancora. Il nostro senso di caducità di ogni cosa si è ancora più acuito da quando le macchine fotografiche ci hanno dato modo di fissare l’attimo fuggente. Platone era sprezzante verso le immagini paragonandole a ombre, impotenti rispetto alle cose reali. Ma la forza delle immagini fotografiche deriva dal fatto che esse sono in realtà materiali in sé, potenti mezzi per capovolgere la realtà e trasformare questa in ombra.
Attualmente quello che è facile percepire è come sia semplice e accessibile a tutti fotografare. In un interessantissimo saggio di Ando Giliardi, La Stupidità Fotografica, lo storico e fotografo italiano riprende spesso una famosa citazione di Nadar: “la fotografia è quel mezzo che consente anche a un idiota di ottenere qualcosa per cui prima occorreva del genio.” (8) L’idiota è colui che non comprende le cose, ed è proprio quello che spesso oggi avviene in fotografia, cioè una diffusa mancata comprensione di quello che essa rappresenta. Ora, visto e considerato che il nostro tempo è affetto da una bulimia visiva senza precedenti, la vera domanda da porsi è: questa fame di immagini corrisponde realmente a una fame di realtà? Oggi tutto è bit, file, pixel, tutto è modificabile facilmente con qualche filtro o fotomontaggio: l’aspettativa di ritrovare la realtà nell’immagine fotografica sembra essere definitivamente scomparsa, come in passato era successo per la pittura o per altre arti visive. Se però il digitale significa la perdita di ogni dovere verso la rappresentazione del reale, cosa cercare ora attraverso le lente fotografica? Ando afferma che oggi più che mai il “basta un clic”, quindi la semplice registrazione oggettiva della realtà, lascia il posto a quella libera creatività che la fotografia sottintende. Personalmente vedo nella fotografia di ogni genere, un’arte del vedere e del creare: ogni immagine racchiude in sé un fascino misterioso che va oltre la pura registrazione della realtà.
Note:
(1) Il mito della caverna di Platone è uno dei più conosciuti tra le allegorie del filosofo ateniese. Il mito è raccontato all’inizio del libro settimo de La Repubblica (514 b – 520 a): è la descrizione narrativa del percorso conoscitivo del filosofo, il quale, nella sua ricerca della verità, si stacca dal mondo sensibile per raggiungere le idee e il Bene, e ritornare quindi tra gli altri uomini per governare la città nel modo migliore.
(2) Ufficialmente la fotografia nasce nel 1839 (precisamente il 7 gennaio, data dell’annuncio ufficiale), quando cioè lo studioso e uomo politico François Jean Dominique Arago, eletto deputato nel 1830, spiegò nei dettagli all’Accademia di Francia (richiedendo poi anche un contributo economico per l’autore) l’invenzione di Louis Mandé Daguerre, la dagherrotipia.
(3) Barthes R, La camera chiara. Nota sulla fotografia (La chambre claire, Paris 1980)
(4) Ghirri L., Lezioni di fotografia (Quodlibet, 2009)
(5) Sontag S, Stéphane Mallarmé Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società (Torino, Giulio Einaudi, 1978)
(6) “Il mondo è fatto per finire in un bel libro” citazione di Stéphane Mallarmé.
(7) Diane Arbus, fotografa americana degli anni Sessanta di origini russe, con il suo lavoro ha scioccato il pubblico suo contemporaneo al punto da venir spregiativamente chiamata ”fotografa di mostri”. In realtà nei suoi scatti si esprime un indimenticabile talento, capace di penetrare l’intima emotività dei suoi soggetti.
(8) La citazione ha origine da una querela presentata da Nadar alla Corte Imperiale di Parigi, udienza del 12 dicembre 1857, dal titolo Revendication de la propriété exclusive du pseudonyme Nadar. Félix Tournachon-Nadar contre A. Tournachon jeune et Cie. La memoria fu presentata da Nadar nel quadro della rivendicazione al diritto esclusivo di impiegare lo pseudonimo “Nadar” contro il fratellastro Adrien Alban Tournachon. Il testo è articolato ed affronta varie considerazioni in relazione all’esercizio della professione di fotografo. Il brano che ci interessa recita esattamente: “La Photographie est une découverte merveilleuse, une science qui occupe les intelligences les plus élevées, un art qui aiguise les esprits les plus sagaces – et dont l’application est à la portée du dernier des imbéciles”.
Bibliografia
Benjamin W., L’opera d’arte all’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa. Torino, Einaudi, 1991
Ghirri L., Lezioni di fotografia. Quodlibet, 2009
Giliardi A., La stupidità fotografica. Johan & Levi Editore, 2013
Gunthert A., L’immagine condivisa. La fotografia digitale. Roma, Ag. Contrasto srl, 2016
Melot M., Breve storia dell’immagine. Lugano, Pagine d’Arte, 2009
Mirzoeff N., Come vedere il mondo. Un’introduzione alle immagini: dall’autoritratto al selfie dalle mappe ai film (e altro ancora). Londra, Penguin Books Ltd, 2015
Platone, La Repubblica. Torino, Utet, 1988.
Sontag S., Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società. Torino, Giulio Einaudi, 1978