III
Fondamentale per il concetto d’immagine quale oggetto sacro è l’icona, forma che ricorre sia nella tradizione orientale che in quella occidentale. La parola icona (greco antico per ‘immagine’) così come viene generalmente intesa si riferisce più a un processo o a una condizione, che a una qualche caratteristica fisica di un oggetto. […] Le icone conservano il proprio valore attraverso il continuo aggiornamento al presente, mantenendo costantemente un’attinenza con l’Oggi.
Bill Viola, Nero video. La mortalità dell’immagine, Castelvecchi, 2016, pp. 23-24.

RICERCA IMMAGINE: Braccio di Meleagro
Il braccio di Meleagro (o braccio della morte) prende il nome da un eroe mitologico greco, la cui morte venne raffigurata in numerosi sarcofagi ed urne sepolcrali. Il braccio di Meleagro, caratterizzato dalla posizione di totale abbandono delle membra, diventò una formula particolarmente fortunata nella storia dell’arte moderna, grazie alla sua potenza simbolica ed espressiva, per le rappresentazioni della Deposizione di Cristo.
Nel 1977, David Bowie pubblica il suo singolo “Heroes”. Canta di un nuovo tipo di eroe, giusto in tempo per la rivoluzione neoliberale. L’eroe è morto-viva l’eroe! Eppure l’eroe di Bowie non è più un soggetto, ma un oggetto: una cosa, un’immagine, uno splendido feticcio, una merce intrisa di desiderio, resuscitata da più in basso dello squallore della sua stessa morte. Basta guardare il video della canzone del 1977 per capirne il motivo: la clip mostra Bowie che canta da tre angolazioni simultanee, con tecniche di stratificazione che triplicano la sua immagine; non solo l’eroe di Bowie è stato clonato, ma è diventato soprattutto un’immagine che può essere riprodotta, moltiplicata e copiata, un riff che viaggia senza sforzo attraverso la pubblicità per quasi ogni cosa, un feticcio che confeziona l’aspetto glamour e incontaminato post-gender di Bowie come prodotto. L’eroe di Bowie non è più un essere umano più grande della vita che compie gesta esemplari e sensazionali, e non è nemmeno un’icona, ma un prodotto scintillante dotato di una bellezza post-umana: un’immagine e nient’altro che un’immagine. L’immortalità di questo eroe non ha più origine dalla forza di sopravvivere a tutti i possibili tormenti, ma dalla sua capacità di essere digitalizzato, riciclato e reincarnato. La distruzione ne altererà la forma e l’aspetto, ma la sua sostanza rimarrà intatta. L’immortalità della cosa è la sua finitudine, non la sua eternità.
Hito Steyerl, The Wretched of the Screen, e-flux journal, 2012, p. 49.