
Un’ Altra Volta, Francesca Eleonora Capizzi

Iside Calcagnile, deterritorializzazione / riterritorializzazione, 2019, spago, legno, cartone, plexiglass, terracotta, filo da pesca, polietilene, ferro, sabbia, gesso, scotch, corteccia, foglie, legno, Forex PVC, chiodi, plexiglass, carta da forno, ghisa, paglia, sughero, passerelle veneziane, 100 x 725 x 40 cm
S I P A R I O
1. Luce fioca sulla scena cosparsa di rifiuti eterogenei.
Tenere circa 5 secondi
2. Piccolo grido fioco e immediatamente inspirazione e insieme lento crescere della luce fino a raggiungere insieme il massimo in circa 10 secondi.
Silenzio e tenere circa 5 secondi.
3. Espirazione e insieme lento decrescere della luce fino a raggiungere il minimo (luce come al n. 1) in circa 10 secondi e immediatamente il grido come prima. Silenzio e tenere circa 5 secondi.
S I P A R I O
R I F I U T I
Nessun oggetto verticale, tutti giacenti e sparsi.
G R I D O
Attimo di vagito registrato. Importante che i due gridi siano identici,
e inseriscano e interrompano luce e respiro esattamente
sincronizzati.
L U C E
Mai intensa. Se 0 = buio e 10 massimo di luminosità, la luce
dovrebbe crescere da 3 a 6 e tornare a 3.
Respiro, Samuel Beckett, 1968

La poesia è l’unica linea di fuga dal soffocamento. […] Non c’è fuga politica da questa trappola: solo la poesia, come l’eccesso di scambio semiotico, può riattivare la respirazione. Cos’è la poesia? Perché gli esseri umani hanno a che fare poeticamente con le parole, i suoni e i segni visivi? Perché ci allontaniamo dal livello della semiosi convenzionale?
Perché allontaniamo i segni dal loro quadro di riferimento? […] Quando gli esseri umani si scambiano parole nello spazio sociale, presumono che le loro parole abbiano un significato stabilito e producano effetti prevedibili. Tuttavia, siamo anche in grado di pronunciare parole che rompono la relazione stabilita tra significante e significato, e aprono nuove possibilità di interpretazione, nuovi orizzonti di significati. Negli ultimi versi di una poesia, Holderlin scrive: “C’è misura sulla terra? C’è / Nessuno”, la misura è solo una convenzione, un accordo intersoggettivo che è la condizione del merito (riconoscibilità sociale). La poesia è l’eccesso che rompe il limite e sfugge alla misura. […] L’eccesso è la condizione della rivelazione, dell’emancipazione dal significato stabilito e della rivelazione di un orizzonte invisibile di significazione: il possibile. La poesia può essere definita come l’atto di sperimentare il mondo rimescolando i modelli semiotici. Troviamo il modo di evolvere ritmicamente con il cosmo.
Breathing: Chaos and Poetry, Franco Bifo Berardi, Semiotext (e), 2018, pp. 19-22
Felix Guattari parla di ‘caosmosi’: il processo di riequilibrio dell’osmosi tra la mente e il caos. Holderlin parla della poesia come vibrazione linguistica, oscillazione e ricerca, di un ritmo sintonizzato sull’evoluzione caosmotica che coinvolge contemporaneamente la mente e il mondo. La potenza e l’estensione del linguaggio dipendono dalla solidità del soggetto: dalla sua visione, dalla sua situazione. E l’estensione del mio mondo dipende dalla potenza del mio linguaggio. Il processo di andare oltre i limiti del mondo è quello che Guttari chiama ‘caosmosi’. Egli definisce caosmosi il “processo di riattivazione della semiotizzazione”: per esempio, la ridefinizione della griglia semiotica. La griglia semiotica è un groviglio che limita le possibilità dell’esperienza, e quindi limita il mondo esperibile in sé.
‘Caosmosi’ significa respirare con il caos – ‘osmosi’ implica respirare insieme – ma in questa osmosi con il caos emerge una nuova armonia, una nuova empatia, una nuova sintonia. La poesia riapre l’indefinito, attraverso l’atto ironico di superare il significato stabilito delle parole. In ogni sfera dell’attività umana, la grammatica stabilisce dei limiti per definire uno spazio di comunicazione. […] Mentre la comunicazione sociale è un processo limitato, il linguaggio non ha limiti: le sue potenzialità non sono circoscritte dai limiti del significato. La poesia è l’eccesso di linguaggio, il significante districato dai confini del significato.
Ibidem, pp.30-32

30 x 21 cm


In-corporeo è il nome che Elisabeth Grosz dà a ciò che è immateriale ma non antimateriale; ciò che è che condiziona la materia senza che essa stessa sia materiale; ciò che è ideale, non come obiezione o trascendenza sulla materia, ma come produzione fuori dalla materialità che contemporaneamente inquadra, orienta e completa ciò che la produce.
Il punto, per lei, è che il corporeo trova nell’incorporeo il principio per la sua creatività, la sua apertura, il suo futuro.
Due delle dottrine ontologiche degli Stoici sono fondamentali: il loro esame dei corpi e delle cause, e la loro postulazione degli incorporei. Essere un corpo significa essere in grado di agire o di essere agito. L’attività e la passività non sono indicatori di materiali diversi, ma qualità delle relazioni causali tra corpi dello stesso tipo. […] Tutto ciò che è, è un corpo, ma il reale non è esaurito da tutto ciò che è. I corpi sono situati nello spazio, le loro relazioni fluttuanti si misurano temporalmente, e al limite della corporeità esiste il vuoto, l’assenza di corpo. Lo spazio, il tempo, il vuoto sono tutte istanze di ciò che gli stoici chiamano “incorporeo”, ciò che non può essere toccato, ciò che non può agire né essere agito.
Questi tre incorporei inquadrano e condizionano tutta la corporeità. C’è un altro incorporeo nell’ontologia stoica, che è quello più importante per Grosz: il “lekton”. Se tutti i corpi corporei sono cause, allora non possono causarsi a vicenda, almeno non come le cause producono effetti.
Si collegano invece come cause ad altre cause per produrre insieme cambiamenti in un altro registro ontologico.
Si tratta di cambiamenti nei predicati di un corpo, ciò che si può dire di esso – ciò che gli stoici chiamano lekta. […] Questi predicati non sono corporei, non sono del corpo, perché non possono né agire, né essere agiti.
Sono puri effetti, epifenomeni, che sussistono alla superficie dei corpi di cui sono predicati, causalmente inerti eppure non sono nulla.
Questi predicati sussistono o insistono “sopra” i corpi, ma non esistono in essi. La produzione di senso è nel caso di un allineamento di un corpo con i predicati che si librano sopra ed esistono al di fuori di esso.
Il linguaggio cattura quei predicati per materializzarli, perché parlare, ascoltare, scrivere e leggere sono tutti atti corporei. […] Ciò significa che i predicati sussistono indipendentemente dalle menti che li contemplano o li attribuiscono. Grosz considera questo tra i punti di vista più importanti degli Stoici, ovvero che nel reale c’è di più che il materiale, ma che questo eccesso di idealità non è riconducibile alla contemplazione delle menti, all’esperienza di soggetti o ad atti intenzionali.
È importante sottolineare che non si tratta di un dualismo. La continua concatenazione di cause che costituisce il mondo materiale produce costantemente effetti incorporei nello stesso modo in cui un motore in funzione rilascia vapore. Il pensiero si rivolge a questi effetti e il linguaggio li materializza. […] L’etica riguarda l’affermazione degli eventi incorporei, l’allineamento dei corpi e del senso. La libertà consiste nel coltivare la capacità di desiderare ciò che accade, di portare la propria natura in accordo con la natura in quanto tale. Più comprendiamo quell’ordine causale, meglio diventiamo capaci di distinguere ciò che possiamo controllare da ciò che non possiamo controllare. Possiamo controllare le nostre risposte a ciò che accade; possiamo coltivare la nostra natura, le nostre disposizioni comportamentali.
Non possiamo controllare la natura in quanto tale, e quindi il meglio che possiamo fare è affermare il suo ordine. Questo motiva il passaggio dalle profondità del nostro corpo alla superficie della corporeità, attraverso la quale gli eventi incorporei lampeggiano come le varie trasformazioni che il nostro corpo subisce. Questa è la lezione stoica, cioè che la coincidenza razionale della nostra natura con l’ordine naturale è connessa all’implicazione dell’etico nell’ontologico.
To Save Materialism from Itself. A review of Elizabeth Grosz, The Incorporeal: Ontology, Ethics, and the Limits of Materialism, Tano S. Posteraro Postmodern Culture, Vol. 28, Number 1 September 2017, Johns Hopkins University Press



L’atto linguistico come atto espressivo ha la sua realizzazione unicamente e specificamente nel segno considerato nella sua totalità, non in una o più parole, mai in una o più parole come tali. Non in quanto proferisce delle parole, ma in quanto proferendole realizza nella sua compiutezza un atto linguistico, chi parla si esprime: non quindi nelle singole parole proferite in sé e per sé, ma nella compiutezza l’atto linguistico realizzato è un segno che significa ciò che è stato espresso.
L’equivoco de «l’arbitraire du signe». L’iposema, Mario Lucidi, in Saggi linguistici, Istituto Universitario Orientale, Napoli, 1966, p. 69
IPOSTATIZZARE /IPOSTATI’DZ:ARE/ V. TR. [DER. DI IPOSTASI]. – 1. (FILOS.) [PROCEDERE ALL’ASTRAZIONE DI CONCETTI, QUALITÀ, ECC., DALLA REALTÀ FENOMENICA, RENDENDOLI PER SÉ SUSSISTENTI] ≈ ASTRARRE. 2. (FIG.) [RAPPRESENTARE IN MODO CONCRETO CIÒ CHE È ASTRATTO O IDEALE: I. [IL BENE] ≈ REIFICARE, INCARNARE, MATERIALIZZARE, PERSONIFICARE.

Quando penso al mio corpo, e chiedo cosa fa per guadagnarsi quel nome, due cose spiccano. Si muove. Si sente. Infatti, fa entrambe le cose allo stesso tempo. Si muove come si sente, e sente se stesso che si muove. Possiamo pensare un corpo senza questo: una connessione intrinseca tra il movimento e la sensazione, per cui ognuno evoca immediatamente l’altro?
Il Corpo. Che cos’è per il Soggetto? Non le qualità della sua esperienza in movimento. Ma piuttosto, in linea con l’approccio estrinseco: il suo posizionamento.
Il concetto di “posizionalità” è stato ampiamente sviluppato per questo scopo. Il significato della formazione dei soggetti secondo la struttura dominante è stato spesso pensato in termini di “codifica”. La codifica, a sua volta, è stata pensata in termini di posizionamento su una griglia. La griglia è stata concepita come un quadro oppositivo di significati culturalmente costruiti: maschio contro femmina, nero contro bianco, gay contro etero, e così via. Un corpo corrispondeva a un “punto” della griglia definito da una sovrapposizione di un termine per ogni coppia. Il corpo è venuto ad essere definito dal suo inserimento nella griglia. […] Il corpo, in quanto legato ad una particolare posizione del soggetto, è qualcosa di più di una incarnazione di una particolare ideologia locale? Dov’è finito il potenziale del cambiamento?

[…] L’idea di posizionalità comincia a sottrarre il movimento all’immagine. Questo blocca il corpo in un fermo immagine culturale. […] Quando un posizionamento qualsiasi diventa un ‘primo’ determinante, il movimento diventa un ‘secondo’ problematico. […] Manca la nozione stessa di movimento come trasformazione qualitativa. C’è “spostamento”, ma nessuna trasformazione, come se il corpo saltasse semplicemente da una definizione all’altra. […] Quando un corpo è in movimento, non coincide con se stesso. Coincide con la sua stessa transizione: la sua stessa variazione. La gamma di variazioni in cui può essere implicato non è presente in un dato movimento, tanto meno in una qualsiasi posizione in cui passa. In movimento, un corpo è in un rapporto immediato, che si dispiega con il proprio potenziale non presente di variazione. Questa relazione, per riprendere una frase di Gilles Deleuze, è reale ma astratta. […] Qui astratto significa: mai presente in posizione, soltanto nel passaggio. Si tratta di un’astrattezza che riguarda l’immediatezza transitoria di una relazione reale, quella di un corpo alla propria indeterminatezza (la sua apertura a un altrove e non solo, in qualsiasi qui e ora)
Parables for the Virtual: Movement, Affect, Sensation, Brian Massumi,
Durham: Duke University Press, 2002, pp. 1-5

Il modo più corretto di pensare ad un albero, a un cactus o a un cespuglio, effettivamente, non è quello di paragonarlo a un uomo o a un qualsiasi altro animale, ma di immaginarlo come una colonia. Un albero, quindi, è molto più simile a una colonia di api o di formiche che ad un animale singolo! Seppure antichissime, anche sotto questo aspetto le piante dimostrano di essere eccezionalmente moderne. Uno dei concetti cardine su cui si basano molte delle tecnologie rese possibili dall’avvento di Internet e fondate sulla connessione di gruppi è infatti proprio quello delle cosiddette ‘proprietà emergenti’, tipiche dei superorganismi o delle intelligenze di sciame. Si tratta di quelle proprietà che le singole entità sviluppano solo in virtù del funzionamento unitario dell’insieme: nessuno dei singoli componenti ne è dotato in modo autonomo, proprio come accade alle api o alle formiche, che unendosi in colonie sviluppano un’intelligenza collettiva molto superiore a quella dei singoli che le compongono.
Verde Brillante, sensibilità e Intelligenza del mondo vegetale.
Stefano Mancuso e Alessandra Viola, Giunti Editore, p. 34
IL RIZOMA COLLEGA UN PUNTO QUALSIASI CON UN ALTRO PUNTO QUALSIASI
E CIASCUNO DEI SUOI TRATTI NON RIMANDA NECESSARIAMENTE A TRATTI DELLO STESSO GENERE, METTENDO IN GIOCO REGIMI DI SEGNI MOLTO DIFFERENTI ED ANCHE STATI DI NON-SEGNI (…). RISPETTO AI SISTEMI CENTRICI (ANCHE POLICENTRICI), A COMUNICAZIONE GERARCHICA E COLLEGAMENTI PRESTABILITI, IL RIZOMA È UN SISTEMA ACENTRICO, NON GERARCHICO E NON SIGNIFICANTE.
Capitalismo e schizofrenia, Gilles Deleuze e Félix Guattari, Mille piani, sez. 1, Castelvecchi, 1997, p. 33
Saturnalia Festival, Milano 2019
Un concatenamento è precisamente questa crescita di dimensioni in una molteplicità che cambia necessariamente natura man mano che aumenta le proprie connessioni. Nel rizoma non esistono punti o posizioni, come in una struttura, albero, radice. Non ci sono che linee. […] Ci troviamo di fronte non a unità di misura ma a molteplicità o varietà di misura.
Mille piani, Gilles Deleuze e Félix Guattari, 1980, p. 41
Non si devono contare le cose che stanno in relazione, bensì le relazioni; non i termini delle relazioni, ma le relazioni. Quante diramazioni ci sono volute per fare una mano, non quante dita sono state prodotte da queste diramazioni. (…) adesso guardatevi la mano (…) e cercate di cogliere la differenza tra vederla come base per cinque parti e vederla costituita come un groviglio di relazioni. Non un groviglio, bensì una configurazione di quell’intreccio di relazioni che sono stati i determinanti del suo sviluppo. E se riuscite davvero a vedere la mano nei termini dell’epistemologia che vi sto proponendo, penso che all’improvviso essa vi apparirà molto più bella come prodotto di relazioni che come unione di parti discrete. In altre parole vi sto dicendo: primo, che la lingua è molto ingannevole; secondo, che se avete il coraggio, anche senza troppe conoscenze, di cominciare a guardare il mondo attraverso un’epistemologia biologica, vi imbatterete in concetti che i biologi non vedono neppure.
Una sacra unità’. Altri passi verso un’ecologia della mente, Gregory Bateson, Adelphi, 1991, p. 459

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